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Centro Interdipartimentale di Studi su Pascal e il Seicento

La storia

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Giuseppe Pezzino, nato a Catania il 30 marzo 1945, è stato professore ordinario di Filosofia Morale nell'Università di Catania. Ma soprattutto (cosa a cui tiene di più!) è stato professore di Filosofia e Storia nei Licei Statali. Ha fondato la Collana di filosofia e scienze umane διάλογος della casa editrice CUECM di Catania. Ha inoltre fondato la rivista «Quaderni leif», Semestrale del "Laboratorio di Etica ed Informazione Filosofica". È membro della "Société des Amis de Port-Royal" di Parigi; del "Centre International Blaise Pascal" di Clermont-Ferrand; e dell'associazione "Les Amis de Bossuet".

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Giuseppe Pezzino

Passeggiando fra gli alberi della storia - Prima passeggiata

2024-12-26 15:06

Prof. Giuseppe Pezzino

cristianesimo, albero, ebraismo, bibbia, cultura occidentale,

Passeggiando fra gli alberi della storia - Prima passeggiata

Tra le Giornate mondiali che la feconda fantasia dell’ONU va partorendo instancabilmente (pensate, ne contempliamo già 160), ho scoperto che esiste...

Tra le Giornate mondiali che la feconda fantasia dell’ONU va partorendo instancabilmente (pensate, ne contempliamo già 160), ho scoperto che esiste pure una “Giornata mondiale dell’albero”. E a questo punto non so se sperare o disperare. Infatti, in questo nostro mondo occidentale che ha gioiosamente troncato le sue radici; e che – o per apatia o per alienazione o per autoflagellazione – non dà più frutti e forse non avrà più eredi; proprio in questo mondo pazzo e sterile si ha la stravaganza di dedicare una giornata addirittura all’albero, che invece è segno di vita, di radicamento e di fecondità.

Indubbiamente la nostra cultura, che sta mestamente tramontando, ha avuto per millenni molti legami con l’albero. Basta sfogliare le prime pagine della Bibbia, per trovarsi di fronte a due alberi maestosi e solenni che troneggiano nel Giardino di Eden: l’Albero della vita e l’Albero della conoscenza del bene e del male:

 

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male[1].

 

Immediatamente primeggia l’Albero della vita. E questa primazia è ben giustificata, perché la vita è una qualità propria del Dio biblico. Nell’Antico Testamento, infatti, Dio è chiamato «il Dio vivente», per contrapporlo agli idoli morti dei pagani: «Chi, infatti, tra tutti i mortali ha udito come noi la voce del Dio vivente [vocem Dei viventis] parlare dal fuoco ed è rimasto vivo?»[2]; oppure: «Perché egli è il Dio vivente, che rimane in eterno [ipse est enim Deus vivens et permanens in sæcula]; il suo regno non sarà mai distrutto e il suo potere non avrà mai fine»[3]. Anche nel mondo cristiano Gesù Cristo è il «Figlio del Dio vivente»[4].

Si aggiunga, inoltre, che nella tradizione vetero-testamentaria l’immagine dell’Albero della vita trabocca talora dalla religione per riversarsi nella prassi quotidiana, diventando così il simbolo della vita morale, del comportamento retto e giusto: «Una parola buona è un albero di vita, quella malevola è una ferita al cuore»[5].

E questa transizione dalla religione alla prassi non è affatto illegittima. In effetti, se nell’Albero della vita è raffigurato Dio, che è la Vita; e se Dio è anche la Sapienza; e se la Sapienza è anche la Saggezza nel suo genuino senso spirituale e morale; allora l’Albero della vita, in quanto Saggezza, ha una sua valenza etica.

D’altronde, attenendoci esclusivamente alla dimensione umana, che cosa sarebbe la sapienza degli uomini, se non boria del dotto, libido sciendi, assurda e diabolica sete di conoscenza, qualora si chiudesse in un guscio di astrato egocentrismo? Per converso, l’umana sapienza s’illumina di divino, quando si fa saggezza, quando si misura con l’altro, e quindi diventa oculato discernimento nel giudicare e nell’operare, sia sul piano della vita pratica in generale sia sul piano etico in particolare.

Ecco perché, nel Libro dei Proverbi dell’Antico Testamento, l’Albero della vita simboleggia l’umana saggezza, la virtuosa capacità di ascoltare la ragione nella condotta e nei giudizi, la moderazione nei desideri, l’equilibrio nel distinguere il bene e il male, la prudenza nel valutare le situazioni e nel decidere: «Il frutto del giusto è un albero di vita, il saggio conquista i cuori»[6].

Si consideri tra l’altro che, nella tradizione cristiana, l’Albero della vita acquista un significato simbolico legato a Gesù Cristo, che è la vera sorgente di Vita eterna: «Gli disse Gesù: Io sono la via, la verità e la vita»[7]. L’idea che l’Albero della vita simboleggi Dio-Sapienza-Cristo è proposta da sant’Agostino, per il quale l’albero della vita nell’Eden è bensì un albero materiale, ma è altresì “figura” simbolica della Sapienza-Dio, che è Gesù Cristo: «Così anche la Sapienza, cioè lo stesso Cristo, è l’albero di vita nel paradiso spirituale»[8]. In altri termini, l’Albero della vita è immagine concreta e, nel contempo, è anche figura allusiva di una realtà diversa, ovverosia è tras-figurazione simbolica o allegorica di Gesù, che è Dio-Vita-Sapienza.

Per accostarci fugacemente ai nostri tempi, bisogna osservare che papa Benedetto XVI ripropose la figura di Gesù nel simbolo dell’Albero della vita: «Specialmente in questo giorno del Venerdì Santo, la Chiesa celebra, con intima adesione spirituale, la memoria della morte in croce del Figlio di Dio, e nella sua Croce vede l’albero della vita, fecondo di una nuova speranza»[9].

D’altra parte, l’Albero della vita è comunemente considerato un simbolo di Cristo crocifisso. Basti pensare che, nella liturgia dell’Esaltazione della Santa Croce, si dice: «Nel legno della croce tu hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché da dove sorgeva la morte di là risorgesse la vita e chi dall’albero dell’Eden traeva la vittoria, dall’albero della croce venisse sconfitto»[10].

Consideriamo adesso l’Albero della conoscenza del bene e del male. Questo secondo albero del Giardino di Eden è legato alla narrazione biblica della disobbedienza e della superbia di Adamo e di Eva: «Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”»[11]. Questo fu l’imperativo divino. Ed ecco la disobbedienza umana:

 

Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e chiese alla donna: “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”. Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”. Ma il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male”. Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò[12].

 

Da quel momento, il peccato di disobbedienza e di superbia irrompe sulla scena biblica. E con il peccato crolla la meravigliosa armonia d’amore esistente fra Dio e le sue creature. Infatti, se nell’armonia edenica l’uomo era naturalmente animato dal triplice amore per sé stesso, per le altre creature e, soprattutto, per il Dio Creatore; ora, con il peccato di disobbedienza, quel triplice amore si riduce nell’uomo al solo egoistico amor di sé.

Così Adamo, che per un gratuito atto di Amore divino era stato creato ad imaginem et similitudinemdi Dio, ora disobbedisce al comando divino nella diabolica e illusoria speranza di diventare pari a Dio, come Dio, sicut Deus. In tal modo, l’uomo ostenta un senso di superiorità nei confronti del Creatore e delle altre creature, illudendosi di essere pari a Dio e di poter fare a meno di Dio.

Da qui la maledizione divina, che colpisce la superbia di Adamo e di Eva; da qui la Caduta; da qui il Paradiso perduto. E sarà il dilagare del male per l’uomo e per la storia, sino a quando non verrà il Salvatore Gesù Cristo.

 

Alla donna disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà”.

All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà il suolo per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!”[13].

 

E la maledizione divina si estenderà ai figli di Adamo e a tutto il genere umano. Lo testimonia drammaticamente il sangue innocente di Abele versato dalla mano fratricida di Caino. Ma accostiamoci un po’ a questi figli di Adamo e di Eva. Subito emerge una differenza tra i due: «Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto»[14].

Ecco la prima differenza: Abele è un pastor ovium, un pastore di pecore, mentre Caino è un agricola, un agricoltore. Il primo offre a Dio gli agnelli, il secondo offre i frutti della terra. Ma Dio non gradisce le offerte di Caino.

Per quale motivo lo scrittore biblico esalta la figura di Abele e svilisce quella di Caino? A mio avviso, il motivo sta nel diverso lavoro e nella diversa collocazione spirituale di ciascuno dei due fratelli. Abele, infatti, è un nomade, è un “uomo della tenda”, pronto a partire e a stabilirsi altrove e sempre provvisoriamente. Caino, invece, è uno stanziale, un “uomo della terra”, che coltiva il suolo e che si stabilisce in un luogo in modo permanente.

Insomma, Abele rappresenta i valori religiosi e trascendenti dell’uomo che, pur vivendo sulla terra, è viandante in questa terra [peregrinans in hac terra], non perde di vista il Cielo e anzi, all’occorrenza, sa smontare la tenda e va in cerca di un pascolo celeste perché ha bisogno dell’«oltre». In breve, Abele è il precursore del patriarca Abramo che, rispondendo alla chiamata di Dio, obbedirà e partirà verso la terra indicata da Dio.

Per contro, Caino rappresenta i valori immanenti e terragni, la natura carnale e malvagia, l’appiattimento sulla terra, l’attaccamento esclusivo alle cose del mondo, l’angusta visione di un’esistenza terrena senza Dio e senza la speranza di una vita ultraterrena.

Ma a carico di Caino c’è di peggio: egli è costruttore di una città, della prima città: «Ora Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoc; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoc, dal nome del figlio»[15]. Da agricoltore, da stanziale, Caino costruisce case, sino a edificare una città (ædificavit civitatem) e a darle un nome che è segno della sua signoria. E la città è il trionfo di una vita alienata e senza senso, di una vita che va solo nella direzione del materialismo, dell’effimero, del nulla, della morte.

Se volessimo utilizzare le categorie etico-politiche di sant’Agostino, potremmo dire che Abele rappresenta la civitas Dei, la “città di Dio”, mentre Caino rappresenta la civitas diaboli, la “città del diavolo”. E proprio sant’Agostino attribuisce a Caino, a un fratricida, l’origine della scissione-contrapposizione fra la civitas Dei e la civitas diaboli.

D’altra parte, il sangue e il delitto sembrano pesare, secondo sant’Agostino, anche sulla fondazione di un’altra città, Roma, che è il simbolo del potere politico e del dominio dell’uomo sull’uomo:

 

Il fondatore della città terrena fu il primo fratricida. Sopraffatto dall’invidia uccise suo fratello, cittadino della città eterna e viandante in questa terra. Non c’è da meravigliarsi dunque se tanto tempo dopo, nel fondare la città che doveva essere la capitale della città terrena, di cui stiamo parlando, e dominare tanti popoli, si è avuta una fattispecie parallela a questo primo esemplare che i Greci chiamano ἀρχέτυποϛ. Anche in quel luogo, nei termini in cui un loro poeta rammenta quel delitto, le prime mura furono bagnate di sangue fraterno. Roma infatti ebbe origine con un fratricidio. […] Abele non esigeva il potere nella città che veniva edificata dal fratello. C’era soltanto l’invidia diabolica con cui i cattivi invidiano i buoni per l’esclusivo motivo che quelli sono buoni, questi cattivi[16].

 

Ma torniamo nel Giardino di Eden. Mangiando il frutto dell’albero del bene e del male, Adamo ed Eva diventano quasi come Dio, per quel che riguarda la conoscenza del bene e del male [Ecce homo factus est quasi unus ex nobis, ut sciat bonum et malum]. Perciò la cacciata dal Paradiso mira pure ad allontanarli per sempre dall’altro albero, l’albero della vita, affinché gli uomini non possano conquistare l’immortalità:

 

Poi il Signore Dio disse: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre!”. Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita[17].

 

Insomma bisogna ammettere che l’astuto serpente biblico, ossia la diabolica Tentazione, disse ai nostri progenitori mezza verità e mezza menzogna: la verità stava nella prospettiva che, una volta mangiato il frutto, essi avrebbero avuto la conoscenza del bene e del male; la menzogna stava nel miraggio di diventare come Dio, sicut Deus. E Adamo ed Eva non resistono, cedono e accettano la sinuosa e subdola proposta del serpente-Tentazione; e mangiano il frutto; e conoscono il bene e il male; ma non diventano come Dio, bensì come degli esuli miserandi che, cacciati dal Paradiso, vagano nell’inferno del male, dell’errore, delle lotte fratricide. Così essi dolorosamente sperimentano che raggiungere la conoscenza dell’architettura morale non significa affatto stabilire il monopolio umano della morale.

Chiediamoci perché mai Dio vieta ad Adamo di accostarsi all’albero della conoscenza del bene e del male, e quindi di mangiarne i frutti. Forse perché quest’albero dà frutti cattivi? No di certo. Quest’albero è indubbiamente buono e produce frutti buoni, giacché è stato creato da Dio, che è il Bene, e dalle cui mani non può uscire che qualcosa di buono.

Nell’Antico Testamento, infatti, leggiamo che il Creatore, al sesto giorno, imprime il sigillo del bene su tutto il creato: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona [valde bona]. E fu sera e fu mattina: sesto giorno»[18]. E lo stesso san Paolo, scrivendo la prima Lettera a Timoteo, torna su questo argomento: «Ogni creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato, se lo si prende con animo grato, perché esso viene reso santo dalla parola di Dio e dalla preghiera»[19].

Ma, se Dio è il Bene per antonomasia, da dove deriva il male nell’uomo e fra gli uomini? Parafrasando Epicuro[20], si potrebbe dire che se Dio non vuole il male, ma non può evitarlo, allora è buono ma impotente. Se Dio può evitare il male, ma non vuole evitarlo, allora è cattivo. Se addirittura Dio non vuole e non può evitare il male, allora è cattivo e impotente. Tre ipotesi ovviamente insostenibili e inaccettabili. E tuttavia il problema resta insoluto: se esiste il male, Dio non può essere perfettamente buono e sovrano, come la Bibbia insegna. 

Sfioriamo così l’antico e sempre risorgente problema della teodicea, ovvero della giustizia di Dio: il male esiste nel mondo, per cui Dio non vuole oppure non può rimuoverlo. Nel primo caso, non è buono; nel secondo caso, non è onnipotente. Perciò si chiedeva Boezio: «Se è vero che Dio sia, onde procedono i mali? e se non è, i beni da chi vengono?»[21].

Si aggiunga che il problema della giustizia divina non è soltanto di ordine puramente filosofico-teologico. Infatti, nel cammino umano e nell’esistenza del singolo si riscontrano moltissimi casi di calamità e di guerre, per cui sorge la tentazione di chiedersi dov’era Dio-Bene durante un terremoto o mentre si consumava la tragedia nel campo di sterminio di Auschwitz. E ancora: perché questo male ha colpito me, proprio me innocente, se Dio esiste?

Nel caso di Adamo, l’origine del male è da ricercare nell’uomo e nel suo peccato di disobbedienza e di superbia. Non a caso, nel Siracide, si evidenzia lo stretto legame fra il peccato e la superbia, da intendere, quest’ultima, come un allontanarsi da Dio, come una aversio a Deo:

 

Principio della superbia è allontanarsi dal Signore;

il superbo distoglie il cuore dal suo creatore.

Principio della superbia infatti è il peccato;

chi ne è posseduto diffonde cose orribili.

Perciò il Signore ha castigato duramente i superbi

e li ha abbattuti fino ad annientarli[22].

 

In altri termini, Adamo pecca di superbia perché disconosce la propria natura di creatura, al punto da considerarsi stoltamente principio e fine del proprio essere, al punto da presumere di poter fare a meno di Dio. D’altronde Adamo è peccatore perché, essendo stato creato «a immagine di Dio», egli è dotato di intelligenza e di libertà, e quindi di responsabilità dei propri atti. In breve, la montagna, la pianta o l’animale non sono responsabili.

Da precisare che nel peccato di Adamo c’è anche la disobbedienza. Dio gli aveva ordinato di non mangiare i frutti dell’Albero della conoscenza del bene e del male. E questo imperativo divino dimostra tra l’altro che Adamo è libero sia di scegliere sia di fare. Infatti, nell’imperativo divino «tu non devi» è implicito il riconoscimento che Adamo «può», ovverosia che è nella condizione di scegliere di mangiare o non mangiare il frutto di quell’albero.

Se Adamo liberamente e responsabilmente decide di non osservare l’imperativo divino, allora egli liberamente e responsabilmente cade nel peccato di disobbedienza. Pertanto, il male non sta nel frutto mangiato da Adamo ed Eva, e quindi in Dio che ha creato quell’albero dal frutto proibito all’uomo; ma sta nell’uomo, che liberamente non vuole rispettare l’imperativo divino.

A proposito del frutto proibito, resiste ancora una sorta di vulgata, che vede nella mela assaporata da Eva e da Adamo l’atto sessuale che avrebbe assicurato loro l’immortalità attraverso la procreazione dei figli. Si tratta di una lettura che ha tradotto la disobbedienza dei due nostri progenitori in un gesto prometeico di ribellione a Dio, per spezzare le catene di una condizione di soggezione, al fine di conquistare, per sé stessi e per le future generazioni, l’indipendenza da Dio.

In verità, a leggere il testo biblico, in Adamo ed Eva non si coglie affatto un eroico spirito prometeico, né un’epica ribellione titanica. Constatiamo piuttosto che i nostri due progenitori, vittime del loro stesso peccato, provano vergogna, avvertono imbarazzo, si nascondono alla severa chiamata di Dio.

Insomma, questo tipo di lettura prometeica non è convincente. E, a questo punto, ci può soccorrere la famosa tesi di sant’Agostino a proposito della teodicea, e quindi dell’esistenza e della natura del male.

Fermo restando che Dio è sommamente buono, Agostino, come si sa, distingue tre tipi di male: il male metafisico, il male morale e il male fisico. Nel primo caso, il male non esiste come realtà in sé, ma è un non-essere, una mancanza di realtà, un limite naturale, che riguarda ogni creatura rispetto a Dio, il quale è pienezza dell’Essere. In altri termini, su tutte le creature incombe il male metafisico, perché esse, pur essendo create da Dio sommamente buono, non sono create dal suo Essere ma dal nulla, ex nihilo. Del resto, col peccato originale e la conseguente fine della bella armonia edenica, le creature si staccano dall’Essere-Dio.

 

Questo vizio – scrive Agostino – si chiama superbia. […] Questo è l’iniziale disfacimento, l’iniziale impoverimento, l’iniziale imperfezione di quell’essere che non fu creato per essere perfettissimo ma per beatificarsi nell’essere perfettissimo e così ottenere la felicità. Essendosi allontanato da lui, non ha cessato di essere, ma è regredito nella perfezione e per questo è divenuto infelice[23].

 

Il secondo tipo di male, cioè il male morale, è quello che l’uomo avverte molto più chiaramente e più penosamente rispetto al primo. Il male morale si lega indissolubilmente al peccato, ossia al cattivo uso che i nostri due progenitori fecero della libertà per ribellarsi alla legge di Dio, per deviare da Dio e abbandonarsi all’amore di sé e del mondo.

Da questo male morale deriva necessariamente il male fisico, con il suo triste corteo di dolori, di sofferenze, di morte. Sicché Agostino afferma con impeto: 

 

Che cosa sta ad indicare l’amore di tante cose inutili e nocive? Da esso infatti derivano le preoccupazioni affannose, i turbamenti, le afflizioni, i timori, le pazze gioie, le discordie, le liti, le guerre, i tradimenti, i furori, le inimicizie, l’inganno, l’adulazione, la frode, il furto, la rapina, la slealtà, la superbia, l’ambizione, l’invidia, gli omicidi, i parricidi, la crudeltà, la spietatezza, l’ingiustizia, la lussuria, l’insolenza, la sfrontatezza, l’impudicizia, le fornicazioni, gli adultèri, gli incesti e contro la natura dell’uno e dell’altro sesso i tanti stupri e atti impuri che è vergogna perfino parlarne, i sacrilegi, le eresie, le bestemmie, gli spergiuri, le oppressioni degli innocenti, le calunnie, gli inganni, le concussioni, le false testimonianze, le condanne ingiuste, le violenze, i furti e ogni altro tipo di malvagità che non viene in mente e tuttavia non scompare dalla vita umana nel tempo. Per la verità sono colpe proprie degli uomini malvagi, ma provengono da quella radice dell’errore e dell’amore pervertito, con cui nasce ogni figlio di Adamo[24].

 

A tal proposito, bisogna riconoscere che, nell’episodio biblico del frutto proibito, viene segnato un limite invalicabile tra Dio e l’uomo, fra il Creatore e la creatura, che si traduce in questo modo: l’uomo deve rispettare il confine del bene e del male, perché quel confine è già stato stabilito da Dio. E più precisamente: non è l’uomo, bensì Dio, a fondare le norme morali che regolano l’umano esercizio della libertà e pongono ordine nel vivere civile dell’umanità.

Qui sta il senso dell’imperativo divino impartito ai nostri due progenitori. Essi – in quanto creature – avevano una sola e chiarissima regola da rispettare in piena libertà e chiara intelligenza: accettare l’ordine stabilito dal Creatore. E invece essi, liberamente e responsabilmente, decidono di disobbedire nella diabolica pretesa di stabilire da soli che cosa sia il bene e che cosa sia il male.

Insomma, la catastrofica illusione di “far fuori” Dio – nel duplice significato di “accantonare” Dio e di “uccidere” Dio – gioca il suo ruolo funesto nella storia dell’umanità. Senza Dio, l’uomo superbo pretende di tiranneggiare i suoi simili e di dominare la natura e il mondo. Senza Dio, la superba ragione si perde in mille definizioni della felicità, della verità, della giustizia, del bene, del dovere, senza mai giungere a un’idea universalmente condivisa. Ecco a tal proposito, quel che dirà Pascal, moderno scienziato e fervente credente:

 

Ridicola ragione, che un colpo di vento squassa, e in tutte le direzioni. Potrei riferire quasi tutte le azioni degli uomini, che traballano quasi solo per i suoi scossoni. La ragione, infatti, è stata costretta a cedere, e la più saggia adotta come suoi princìpi quelli che l’immaginazione degli uomini ha introdotto temerariamente dappertutto[25].

 

Perduto il Paradiso e “fatto fuori” Dio, gli uomini si sono accasati a Babele, la città della confusione e del disordine. Credono di essere onnipotenti, si insuperbiscono e costruiscono una torre che deve arrivare sino al cielo, e ancora più in alto, sempre più in alto. Ma, senza il Logos divino, senza la lingua-pensiero di Dio, la lingua degli uomini si sbriciola in mille lingue, e queste si confondono, diventano incomprensibili, e nella torre di Babele scoppia la confusione, l’anarchia, la conflittualità permanente.

Si può uscire da Babele? Per il cristiano si può. Infatti si esce da Babele quando, nella Pentecoste, il Logos divino scende sui discepoli sotto forma di lingue di fuoco:

 

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi[26].

 

Se nella torre di Babele – senza o contro il Logos divino – le lingue sono incomprensibili e scatenano una tumultuosa anarchia, che genera disordine mentale e morale; a Gerusalemme, nella festa di Pentecoste, il Logos divino, lo Spirito, il Verbo, la Parola, scende sui cristiani e dona loro la capacità di farsi comprendere e di comprendere le altre lingue:

 

A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: “Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”[27].

 

E parve che Gerusalemme trionfasse su Babele.

E invece, nel corso della storia, ci siamo accorti che la malefica tentazione di costruire una nuova e più superba torre di Babele non ci ha mai abbandonato del tutto. E le lingue tornano a confondersi e a diventare incomprensibili. E ognuno diventa un atomo, una monade senza finestre, chiudendosi e negandosi alla comunicazione con Dio e con i propri simili. E così ognuno crede di essere Dio; e perciò ognuno vanta il privilegio di stabilire, a proprio piacimento e a proprio tornaconto, che cos’è il bene e che cos’è il male.

 


 

[1] Genesi 2, 8-9.

[2] Deuteronomio 5, 26.

[3] Daniele 6, 27.

[4] «Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”» (Matteo 16, 15-16).

[5] Proverbi 15, 4.

[6] Proverbi 11, 30.

[7] Giovanni 14, 6.

[8] Agostino, La Genesi alla lettera, libro VIII, 5.9., in http://www.augustinus.it/italiano/genesi_lettera/index2.htm.

[9] Benedetto XVI, Parole di Benedetto XVI per il Venerdì Santo – Via Crucis al Colosseo, 6 aprile 2012, in https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2012/april/documents/hf_ben-xvi_spe_20120406_via-crucis-colosseo.html.

[10] Congregazione per il Culto Divino, Messale Romano III edizione italianaPrefazio. La Croce albero della vita, p. 633.

[11] Genesi 2, 16-17.

[12] Genesi 3, 1-6.

[13] Genesi 3, 16-19.

[14] Genesi 4, 3-5.

[15] Genesi 4, 17.

[16] Agostino, La Città di Dio, XV, 5, https://www.augustinus.it/italiano/cdd/index2.htm

[17] Genesi 3, 22-24.

[18] Genesi 1, 31.

[19] 1 Timoteo 4, 4-5.

[20] Per Epicuro ci riferiamo al frammento 374 Usener, ove si dice: «Dio, o vuol togliere i mali e non può, o può e non vuole, o non vuole e né può, o vuole e può. Se vuole e non può, è impotente: il che non può pensarsi di dio. Se può e non vuole, è invidioso, il che è parimenti contrario alla natura di dio. Se né vuole né può, è invidioso e impotente, perciò non può essere neppure dio. Se vuole e può, il che solo conviene a dio, d’onde deriva allora l’esistenza dei mali? E perché dio non li toglie?».

[21] Boezio, Sulla consolazione della filosofia, trad. ital. di B. Varchi, Edizione Minerva, Padova 1832, I, prosa IV, verso 30, p. 19.

[22] Siracide 10, 12-13.

[23] Agostino, La Città di Dio, 12, 6, in http://www.augustinus.it/italiano/cdd/index2.htm.

[24] Ivi, 22, 22.1.

[25] B. Pascal, Pensieri, fr. 78, in Opere Complete, a cura di M.V. Romeo, Bompiani, Milano 2022, p. 2305.

[26] Atti degli Apostoli 2, 1-4.

[27] Atti degli Apostoli 2, 6-11.

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Passeggiando fra gli alberi della storia - Terza passeggiata
Manzoni, Promessi Sposi, Albero della Croce, Fede, Pensiero,

Passeggiando fra gli alberi della storia - Terza passeggiata

Prof. Giuseppe Pezzino

2025-01-14 10:56

Terza passeggiata. Anche in questa Terza Passeggiata, all’ombra dell’Albero della vita che è il legno della Croce, restiamo assieme al Manzoni.

Passeggiando fra gli alberi della storia - Seconda passeggiata
albero, Nuovo Testamento, Gesù, ricerca, giustizia,

Passeggiando fra gli alberi della storia - Seconda passeggiata

Prof. Giuseppe Pezzino

2025-01-03 16:29

Anche nel Nuovo Testamento balza evidente il richiamo all’albero, come nella parabola della pianta di fico: «Dalla pianta di fico imparate...

Passeggiando fra gli alberi della storia - Prima passeggiata
cristianesimo, albero, ebraismo, bibbia, cultura occidentale,

Passeggiando fra gli alberi della storia - Prima passeggiata

Prof. Giuseppe Pezzino

2024-12-26 15:06

Tra le Giornate mondiali che la feconda fantasia dell’ONU va partorendo instancabilmente (pensate, ne contempliamo già 160), ho scoperto che esiste...

TE PIACE 'O PRESEPIO?
giuseppe pezzino, natale, presepio, de filippo, casa cupiello, tradizioni, san francesco d'assisi, greccio, consumi, cristianesimo, europa, italia,

TE PIACE 'O PRESEPIO?

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-12-15 11:28

All’antivigilia di Natale, nel capolavoro di Eduardo De Filippo, l’anziano Luca Cupiello si dedica con eroica ostinazione alla composizione del presepio...

LIBERTÀ E LIBERAZIONE
Pezzino, Antifascismo, Politica, Partigiani, Attualità,

LIBERTÀ E LIBERAZIONE

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-10-26 09:31

Un giorno il mio vecchio amico Iacopo – tra il provocatorio, l’ingenuo e il malizioso – mi scrisse: «Ciao Prof. ti va di celebrare il 25 aprile? [...]»

Invidia

Invidia

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-19 15:35

Mi han sempre detto che una mela al giorno toglie il medico di torno. Però ieri, sbocconcellando lentamente una golden, mi sono ricordato che in latin

A proposito di speranza

A proposito di speranza

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-19 15:32

A conclusione di ogni anno, mi torna in mente il leopardiano Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere.Così, puntualmente, io cammino in

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Quinta ed ultima parte)

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Quinta ed ultima parte)

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-17 10:41

Ma torniamo al re che, il 1° giugno 1940, a dieci giorni dalla nostra entrata in guerra, appare a Ciano rassegnato, ma non disperato. Egli, infatti, m

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Parte IV)

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Parte IV)

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-17 10:38

Il 3 maggio 1938, Hitler e i vertici del Terzo Reich (il delfino di Hitler, Rudolf Hess; il numero due del nazismo, Hermann Göring; il ministro degli

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Parte III)

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Parte III)

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-17 10:37

In un primo momento sembra, si spera, che il delitto Matteotti possa travolgere il governo Mussolini. Ma storicamente dobbiamo prendere atto che è una

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Parte II)

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Parte II)

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-17 10:33

Dopo anni di guerra, dopo la vittoria del 1918, si aspettava la pace. Si vagheggiava un avvenire di ricostruzione e di concordia nazionale. E invece V

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Parte I)

VITTORIO EMANUELE III QUEL PICCOLO RE (Parte I)

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-17 10:32

«Viviamo proprio in un bel porco mondo», disse amareggiato il vecchio re Vittorio Emanuele III al suo aiutante di campo. Era il 23 dicembre 1947, a du

OGGI, 25 LUGLIO 2020

OGGI, 25 LUGLIO 2020

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-17 10:31

Oggi, 25 luglio 2020, ore 16, 30, mentre mi vado collassando nella mia stanza senza condizionatore né ventilatore, penso a Mussolini nel fatidico 25 l

TRA I MISTERI DEL MINISTERO (Parte III) BENEDETTO CROCE: PIETRA DELLO SCANDALO

TRA I MISTERI DEL MINISTERO (Parte III) BENEDETTO CROCE: PIETRA DELLO SCANDALO

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-17 10:30

Con la scomparsa di Giovanni Gentile, il 15 aprile 1944, e di Benito Mussolini, il 28 aprile 1945, potrebbe sembrare che Benedetto Croce, avendo perdu

TRA I MISTERI DEL MINISTERO (Parte II) LA MACELLERIA MESSICANA

TRA I MISTERI DEL MINISTERO (Parte II) LA MACELLERIA MESSICANA

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-17 10:29

Dopo la significativa presenza di Giovanni Gentile al ministero dell’Istruzione (dal 1922 al 1924), ovvero dopo la Riforma Gentile realizzata in due a

TRA I MISTERI DEL MINISTERO (Parte I)

TRA I MISTERI DEL MINISTERO (Parte I)

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-16 12:37

Con finta ingenuità mi chiedi perché mai io ricorra all’espressione “Manicomio Italia”, quando debbo affrontare seriamente le questioni del nostro «be

Il Male di vivere

Il Male di vivere

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-16 12:36

Oggi tu mi chiedi – con malcelata ironia – dove sia finito l’uomo prometeico che sfidava gli dèi, l’uomo sicuro di sé, della sua scienza e della sua t

VANITAS

VANITAS

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-16 12:35

Hai ragione da vendere, cara Myriam, nel lamentare la forzata separazione sociale in questi dolorosi e interminabili giorni di emergenza planetaria. Q

VECCHIO, DIRANNO CHE SEI VECCHIO

VECCHIO, DIRANNO CHE SEI VECCHIO

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-16 12:34

Ieri eravamo quattro amici al bar, e mi han detto che un noto comico prestato alla politica aveva partorito non già una barzelletta, bensì una bella p

DOLCETTO O SCHERZETTO

DOLCETTO O SCHERZETTO

Prof. Giuseppe Pezzino

2023-06-02 12:32

Fanno tenerezza queste generazioni evergreen, che giocano a santificare e adorare la zucca vuota. Per loro fortuna, non hanno conosciuto la morte nell